Candido, ovvero un Sogno fatto in Sicilia

Andavano spesso a Parigi. Ogni volta che avevano una vacanza che durasse più di quattro giorni: in modo da starci almeno tre giorni pieni, considerando le ore che ci volevano con l'andare in treno. Non avevano l'automobile; l'avevano come naturalmente rifiutata, abitando quella città da cui le automobili in tutta Italia dilagavano. E una delle ragioni del loro amore a Parigi - oltre quelle dell'amore all'amore, dell'amore alla letteratura, dell'amore alle piccole e vecchie cose e ai piccoli e antichi mestieri - stava nel fatto che vi si poteva ancora camminare, ancora passeggiare, ancora svagatamente andare e fermarsi e guardare. Soltanto a Parigi, per esempio, camminavano tenendosi per mano;  soltanto a Parigi il loro passo assumeva una goduta lentezza. Vi si sentivano insomma sciolti e liberi. Ed era  sì un fatto mentale, un fatto letterario: ma qualcosa c'era negli spazi, nei ritmi dell'architettura e della vita che vi si muoveva, che consentiva all'idea, e magari al luogo comune, che della città si aveva prima di conoscerla. Era una grande città piena di miti letterari, libertari e afrodisiaci  che sconfinano l'uno nell'altro e si fondono: così  come in un nudo di Courbet si sente l'interludio tra un amplesso e l'altro, la Comune e la conversazione con Baudelaire; ma era anche un insieme di paesi piccoli tra i quali scegliere, ritagliare e vivere quello che meglio ci si addice, quello in cui siamo nati o quello in cui abbiamo sognato di vivere. Piccoli paesi che si sfaccettano e ripetono la città grande; grande città che sente la campagna, che se ne alimenta e ne respira, che per emblemi la ripete. «Davanti alle botteghe sostavano dei gatti, agitavano la coda come una bandiera. Stavano fermi con gli occhi che osservavano attenti, come cani da guardia davanti ai cesti d'insalata verde e di carote gialle, di cavoli dai riflessi bluastri e di rosati ravanelli. Le botteghe sembravano orti ... Le terrazze dei caffè fiorivano di tavoli rotondi dalle gambe sottili, e i camerieri avevano l'aspetto di giardinieri, e quando versavano il caffè e il latte nelle tazze pareva annaffiassero delle bianche aiuole. Lungo i margini c'erano alberi e chioschi, pareva che gli alberi vendessero giornali. Nelle vetrine la merce danzava alla rinfusa, ma in un ordine ben preciso e sempre soprannaturale. Le guardie nelle strade andavano a passeggio, già, a passeggio, una pellegrina sulla spalla destra o sulla sinistra; che quell'indumento dovesse proteggere dalla grandine e da un acquazzone era ben strano. Tutti la portavano con una fiducia incrollabile nella qualità della stoffa o nella bontà del cielo - chi può saperlo? Non giravano come guardie, ma come della gente che non ha da fare e ha tempo per vedersi il mondo».    

[Leonardo Sciascia, Candido, ovvero un Sogno fatto in Sicilia, Einaudi, 1977, pag. 121-122]