Il nipote di Rameau

Che sia bello o brutto tempo, ogni sera verso le cinque, è mia abitudine andarmene a passeggio al Palais Royal. Sono io quel tipo sempre solo, seduto a fantasticare sulla panchina del viale d’Argenson. Mi intrattengo con me stesso a ragionare di politica, d’amore, d’arte o di filosofia. Abbandono il mio spirito ad ogni suo libertinaggio. Lo lascio completamente libero di seguire la prima idea saggia o folle che si presenti, proprio come i nostri giovani dissoluti che vediamo dietro alle cortigiane per il viale di Foy: ora ne seguono una dall’aria svagata, viso ridente, occhio vivace, il naso all’insù, poi la lasciano per seguirne un’altra, abbordandole tutte senza impegnarsi con nessuna. I miei pensieri sono le mie puttane.

[Denis Diderot,  Il nipote di Rameau in Il nipote di Rameau. Jacques il fatalista, Garzanti, 1988, pag. 3]

Esercizi di stile

Notazioni

Sulla S, in un’ora di traffico. Un tipo di circa  ventisei anni, cappello floscio con una cordicella al posto del nastro, collo troppo lungo, come se glielo avessero tirato. La gente scende. Il tizio in questione si arrabbia con un vicino. Gli rimprovera di spingerlo ogni volta che passa qualcuno. Tono lamentoso, con pretese di cattiveria. Non appena vede un posto libero, vi si butta. Due ore più tardi lo incontro alla Cour de Rome, davanti alla Gare Saint-Lazare. È con un amico che gli dice. «Dovresti far mettere un bottone in più al soprabito». Gli fa vedere dove (alla sciancratura) e perché.

Onomatopee

A boarrrdo di un auto (bit bit, pot pot!) bus, bussante, sussultante e sgangherato della linea S, tra strusci e strisci, brusii, borbotii, borrrborigmi e pissi pissi bao bao, era quasi mezzodin-dong-ding-dong, ed ecco, cocoricò un galletto col platò (un Apollo col cappello a palla di pollo) che frrr! Piroetta come un vvortice vverso un tizio e rauco ringhia abbiando e sputacchiando «grr grr, arf arf, harffinito di farmi ping pong ?!»
Poi guizza e sguazza (plaffete) su di un sedile e sosspiiira rilassato.
Al rintocco e alla scampanar della sera, ecco-co cocoricò il galletto che (bang!) s’imbatte in un tale balbettante che farfuglia del botton del paletò. Toh! Brrrr, che brrrividi!!!

Ampolloso

Quando l’aurora dalle dita di rosa imparte i suoi colori al giorno che nasce, sul rapidissimo dardo  che per le sinuose correnti dell’Esse falcatamente incede, grande d’aspetto e dagli occhi tondi come toro di Bisanto, lo sguardo mio di falco rapace, quale Indo feroce che con l’inconscia zagaglia barbara per ripido sentiero alla pugna s’induce, mirò l’uman dal collo astato, giraffa piè veloce, e dall’elmo di feltro incoronato di una bionda treccia.
La Discordia funesta, invisa anco agli dèi, dalla bocca nefasta di odiosi dentifrici, la Discordia venne a soffiare i miasmi suoi maligni tra la giraffa dalla bionda treccia e un passegere impudente, subdola prole di Tersite. Disse l’audace figlio di giraffa . «O tu, tu non caro agli Olimpi, perchè poni le ugne tue impudiche sulle mie alata uose?» Disse, e alla pugna si sottrasse, e sedde.
La sera ormai morente, presso la Corte candida di marmi, il giraffato pié veloce ancora vidi, accompagnato da un sulfureo messo d’eleganze, e ad altissima voce, che colpì l’acutissimo mio orecchio, questi vaticinò sul peplo, di cui l’audiente si avvolgeva: «Tu dovrai – disse quello – avvolgere ai tuoi lombi la tua toga, un diamante aggiungendo a quella schiera, che la rinserra!»

[Raymond Queneau, Esercizi di stile, Torino, Einaudi, 1983, pag. 3, 51, 89]