Il giocatore

Nulla ci può essere di più assurdo, oggigiorno, della morale! Oh, gli uomini soddisfatti di se stessi, con quale orgoglioso compiacimento sono pronti, quei chiaccheroni, a pronunziare la loro sentenza! Se sapessero fino a che punto io stesso capisco tutto quanto c'è di ripugnante nella mia attuale situazione, non muoverebbero certo la lingua per darmi insegnamenti. E poi, che cosa possono dirmi di nuovo, che io già non sappia? Ma si tratta forse di questo? Il fatto si è che basta un giro di ruota per cambiare tutto, e quegli stessi moralisti verrebbero per primi (ne sono convinto) a rallegrarsi con me. E allora non mi volterebbero le spalle come fanno adesso. Ma me ne infischio di tutti loro!

[Fëdor Dostoevskij, Il giocatore, Milano, Bompiani, 1985, pag. 143]

Marcovaldo

Il vento, venendo in città da lontano, le porta doni inconsueti, di cui si accorgono solo poche anime sensibili,  come i raffreddati del fieno, che starnutano per pollini di fiori d’altre terre.
Un giorno sulla striscia d’aiola d’un corso cittadino, capitò chissà donde una ventata di spore, e ci germinarono dei funghi.  Nessuno se ne accorse tranne il manovale Marcovaldo che proprio lì prendeva ogni mattina il tram.
Aveva questo Marcovaldo un occhio poco adatto alla vita di città: cartelli, semafori, vetrine, insegne luminose, manifesti, per studiati che fossero a colpire l’attenzione, mai fermavano il suo sguardo che pareva correre sulle sabbie del deserto. Invece, una foglia che ingiallisse su un ramo, una piuma che si impigliasse ad una tegola, non gli sfuggivano mai: non c’era tafano sul dorso di un cavallo, pertugio di tarlo in una tavola, buccia di fico spiaccicata sul marciapiede che Marcovaldo non notasse, e non facesse oggetto di ragionamento, scoprendo i mutamenti della stagione, i desideri del suo animo, e le miserie della sua esistenza.

(Primavera. Funghi in città)

[Italo Calvino, Marcovaldo, ovvero le stagioni in città, Milano, Mondadori, 1993, pag. 3]

L'anno della lepre

Vatanen si svegliò la mattina al canto degli uccelli nel buon odore di un fienile. La lepre gli stava accovacciata sotto l'ascella e pareva seguisse l'andirivieni delle rondini sotto la travatura del tetto. Forse stavano ancora terminando di costruire il loro nido, o forse avevano già dei piccoli, a giudicare da come erano indaffarate a entrare e uscire dal fienile.
I raggi del sole filtravano attraverso gli interstizi delle travi, il fieno dell'anno precedente intiepidiva l'ambiente. Vatanen rimase ancora quasi un'ora sdraiato nel fieno, assorto nei suoi pensieri, finché si scosse e usci con la sua lepre in braccio.
Dietro il vecchio prato fiorito mormorava un piccolo ruscello. Vatanen posò la lepre sulla sponda, si spogliò e si tuffò nell'acqua gelida. Un folto branco di pesciolini nuotava contro corrente: si spaventavano al più piccolo movimento, ma dimenticavano in un attimo la loro paura.

[Arto Paasilinna, L'anno della lepre, Milano, Iperborea, 2006, pag. 22]

Iliade

Gli dei filarono questo per i mortali infelici:
vivere nell’amarezza: essi invece son senza pene.
Due vasi son piantati sulla soglia di Zeus,
dei doni che dà, dei cattivi uno e l’altro dei buoni.
A chi mescolando ne dia Zeus che getta le folgori,
incontra a volte un male e altre volte un bene;
ma a chi dà solo dei tristi, lo fa disprezzato,
e mala fame lo insegue per la terra divina,
va errando senza onore né dagli dei né dagli uomini.

(Libro XXIV, vv. 525-533)

[Omero, Iliade, Einaudi, 1963, pag. 871]


Il vecchio e il mare

Quel pomeriggio arrivò una comitiva di turisti alla Terrazza, e mentre guardavano nell'acqua tra le latte vuote di birra e le barracudas morte, una donna vide una lunga, grande spina dorsale bianca con una coda enorme, che si alzava e dondolava con la corrente mentre il vento di Levante sollevava un gran mare pesante fuori dell'ingresso al porto.
«Che cos'è ?» chiese al cameriere, indicando la lunga colonna vertebrale del grande pesce, ormai spazzatura che aspettava di essere portata via dalla corrente.
«Tiburon» disse il cameriere. «Pescecane.» Voleva spiegare cos'era successo.
«Non sapevo che i pescecani avessero la coda così bella, così ben fatta.»
«Neanch'io» rispose il suo compagno.
In cima alla strada, nella capanna, il vecchio si era riaddormentato. Dormiva ancora bocconi e il ragazzo gli sedeva accanto e lo guardava. Il vecchio sognava i leoni.

[Ernest Hemingway, Il vecchio e il mare, Milano, Mondadori, 1989, pag. 104]

Storia di un fannullone

Lei sorrideva in silenzio e mi guardava bonaria e felice; da lontano giungeva l'eco della musica e razzi luminosi si alzavano nella notte silenziosa dal castello sul giardino, e il Danubio mormorava sin lassù, e tutto, tutto era bello.

[Joseph von Eichendorff, Storia di un fannullone, Einaudi, 1982, pag. 112]