Un paesaggio con centrale nucleare

Ho camminato tre giorni per osservare qualcosa, ma già confuso quello che ho osservato, incerto quello che pensavo, solo incertezza per quello che verrà. Credo che tra pochissimo quasi tutti avremo dimenticato le notizie che solo qualche giorno fa sembravano così impressionanti; saranno roba sfiorita e un po' arcana, con l'effetto che mi facevano le persiane polverose d'una villa abbandonata di Orbetello. 
Deperibilità svelta del cosiddetto "mondo reale", non si distingue bene da un miraggio. Per forza l'intelligenza arriva sempre in ritardo: non lo capisce proprio tutto questo passare e perdersi nell'incerto, la dimenticanza che dovunque ci avvolge e ci porta.

[Gianni Celati, Un paesaggio con centrale nucleare in Verso la foce, Feltrinelli Editore, 1989, pag. 49]

L'uomo che piantava gli alberi

Da tre anni piantava alberi in quella solitudine. Ne aveva piantati centomila. Di centomila ne erano spuntati ventimila. Di quei ventimila contava di perderne ancora la metà, a causa dei roditori o di tutto quel che c'è di imprevedibile nei disegni della Provvidenza. Restavamo diecimila querce che sarebbero cresciute in quel posto dove prima non c'era nulla.

[Jean Giono, L'uomo che piantava gli alberi, Salani Editore, 1996, pag. 26]


La peste

“[...] Dico soltanto che ci sono sulla terra flagelli e vittime, e che bisogna, per quanto è possibile, rifiutarsi di essere col flagello. Questo le sembrerà forse un pò semplice, e io non so se è semplice, ma so che è vero. [...]”

[Albert Camus, La peste, Bompiani, 2011, pag. 196]

Le Cosmicomiche

Una volta, secondo sir George H. Darwin, la Luna era molto vicina alla terra. furono le maree che a poco a poco la spinsero lontano: le maree che lei Luna provoca nelle acque terrestri e in cui la Terra perde lentamente energia.

Lo so bene! - esclamò il vecchio Qfwfq, - voi non ve ne potete ricordare ma io sí. L'avevamo sempre addosso, la Luna, smisurata: quand'era plenilunio - notti chiare come di giorno, ma d'una luce color burro -, pareva che ci schiacciasse; quand'era lunanuova rotolava per il cielo come un nero ombrello portato dal vento; e a lunacrescente veniva avanti a corna cosí basse che pareva lí lí per infilzare la cresta d'un promontorio e restarci ancorata. Ma tutto il meccanismo delle fasi andava diversamente che oggigiorno: per via che le distanze dal Sole erano diverse, e le orbite, e l'inclinazione non ricordo di che cosa; eclissi poi, con Terra e Luna cosí appiccicate, ce n'erano tutti i momenti; figuriamoci se quelle due  bestione non trovavano modo di farsi continuamente ombra a vicenda.
L'orbita? ellittica, si capisce, ellittica: un po' ci s'appiattiva addosso e un po' prendeva il volo. Le maree, quando la Luna si faceva più sotto, salivano che non le teneva più nessuno. C'erano delle notti di plenilunio basso basso  e d'altamarea alta alta che se la Luna non si bagnava in mare ci mancava un pelo; diciamo: pochi metri. Se non abbiamo mai provato a salirci? E come no? Bastava andarci proprio sotto con la barca, appoggiarci una scala a pioli e montar su.

[Italo Calvino, Le Cosmicomiche, Einaudi, 1965, pag. 9-10]


Il giro del mondo in ottanta giorni

Un buon inglese non scherza mai quando si tratta di una cosa seria come una scommessa, - ribatté Phileas Fogg. - Scommetto, contro chi vorrà,  ventimila sterline che farò il giro della terra in ottanta giorni al massimo, ossia millenovecento ore o centoquindicimiladuecento minuti. Accettate?
- Accettiamo, - risposero i signori Stuart, Fallentin, Sullivan, Flanagan e Ralph, dopo essersi consultati.
- Bene, - disse Mr. Fogg,  - il treno di Dover parte alle otto e quarantacinque: lo prenderò.
- Questa sera stessa? - domandò Stuart. 
- Questa sera stessa, - rispose Phileas Fogg.  - Dunque, - soggiunse consultando un calendario tascabile, - poiché oggi è mercoledì 2 ottobre,  dovrò esser di ritorno a Londra, in questo stesso salotto del Reform Club, sabato 21 dicembre, alle otto e quarantacinque della sera, altrimenti le ventimila sterline depositate a mio credito presso i Fratelli Baring vi apparterranno, signori, di fatto e di diritto. Ecco un assegno per l'importo di tale somma.
Immediatamente i sei cointeressati redassero e firmarono un verbale della scommessa. Phileas era rimasto impassibile. Certo, non aveva scommesso per sete di guadagno,  e  quelle ventimila sterline, ossia la metà del suo patrimonio, le aveva arrischiate soltanto perché prevedeva che avrebbe potuto dover spendere l'altra metà per condurre in porto quel difficile,  per non dire inattuabile, progetto. I suoi avversari, invece, parevano emozionati, e non per  il valore della posta, ma perché  si facevano come uno scrupolo di lottare in quelle  condizioni.
In quel momento suonavano le sette. I compagni proposero a Mr Fogg di sospendere il whist perché potesse attendere ai preparativi della partenza.
- Sono sempre pronto! - rispose l'impassibile gentleman e, dando le carte, disse:
- Scopro quadri. Tocca a voi, signor Stuart.

[Jules Verne, Il giro del mondo in ottanta giorni, BUR, 1980, pag. 39]

Un cuore semplice

Di pomeriggio si spingevano con l'asino oltre le Roches-Noires, dalla parte di Hennequeville. All'inizio il sentiero saliva fra terreni ondulati come il prato di un parco, poi arrivava a un altopiano dove i pascoli s'alternavano ai coltivi. Sul ciglio del sentiero, nel fitto dei rovi, crescevano gli agrifogli. Qua e là, un grande albero morto tracciava lo zig zag dei suoi rami sull'azzurro dell'aria.
Quasi sempre si riposavano in un prato: avevano Deauville sulla sinistra, Le Havre sulla destra; davanti, il mare aperto. Era scintillante di sole, liscio come uno specchio, talmente tranquillo che se ne udiva a stento il mormorio; passeri invisibili cinguettavano, e la volta immensa del cielo avvolgeva tutto. La signora Aubain, seduta, era intenta al suo lavoro di cucito; Virginia, accanto a lei, intrecciava dei giunchi; Felicita mondava fiori di lavanda. Paolo, che s'annoiava, avrebbe voluto andar via.

[Gustave Flaubert,  Un cuore semplice in Tre racconti, Gruppo Editoriale L'Espresso, 2011, pag. 25]