L’arte e la maniera di affrontare il proprio capo per chiedergli un aumento

Dopo avere riflettuto a lungo dopo aver preso il coraggio a due mani ti decidi ad andare dal tuo capoufficio per chiedergli un aumento e cosí vai dal tuo capoufficio diciamo per semplificare perché bisogna sempre semplificare che si chiama monsieur xavier cioè monsieur o meglio mr x cosí vai da mr x e qui delle due l’una o mr x è in ufficio o mr x non è in ufficio se mr x fosse in ufficio apparentemente  non ci sarebbe nessun problema ma ovviamente mr x non è in ufficio e cosí ti rimane una sola cosa da fare appostarti nel corridoio in attesa del suo ritorno o arrivo ma supponiamo non che non arrivi perché in quel caso ti rimarrebbe un unica soluzione tornare in ufficio e aspettare il pomeriggio  o il giorno dopo per provarci di nuovo supponiamo invece che lui tardi a rientrare fatto  che si verifica tutti i giorni in quel caso piuttosto che continuare a camminare su e giù per il corridoio la cosa migliore da fare è andare a trovare la tua collega mademoiselle Y che per dare un tocco d’umanità alla nostra arida dimostrazione chiameremo d’ora in poi mlle yolande ma delle due l’una o mlle yolande è in ufficio o mlle yolande non è in ufficio se mlle yolande è in ufficio in teoria non c’è nessun problema ma supponiamo che mlle yolande non sia in ufficio in quel caso dato che non hai voglia di continuare a camminare su e giù per il corridoio appostarti  in attesa dell’ipotetico ritorno o eventuale arrivo di mr x ti si prospetta un’unica soluzione fare il giro dei diversi settori che insieme costituiscono l’intera o parte dell’organizzazione che ti dà lavoro poi tornare da mr x sperando che questa volta sia arrivato orbene delle due l’una o mr x è in ufficio o mr x non è in ufficio ammettiamo  che non ci sia devi dunque appostarti in attesa  del suo ritorno o arrivo...

[Georges Perec, L’arte e la maniera di affrontare il proprio capo per chiedergli un aumento, Torino, Einaudi, 2010, pag. 3-4]

Il soldato fanfarone

[Atto primo, scena unica]

PIRGOPOLINICE (uscendo di casa e parlando all'interno) Mi raccomando: il mio scudo deve brillare più dei raggi del sole, quando il cielo è terso. Voglio che in caso di bisogno, nel pieno della battaglia, esso abbagli la vista ai nemici ... Ma ora consoliamo questa mia spada, che  non si lamenti né si perda d'animo, se da troppo tempo me la porto oziosa al fianco. Poveretta, muore dalla voglia di far salsicce dei nemici... Ma dov'è Artotrogo?

ARTOTROGO Eccolo qua, al fianco di un eroe forte e fortunato, dall'aspetto regale. Marte non oserebbe asserire di esser altrettanto battagliero, nè oserebbe paragonare le sue prodezze alle tue.

PIRGOPOLINICE  Vuoi dire quello che ho salvato nei campi gorgolionei, dov'era comandante in capo Bumbomachide, Clutumistaridisarchide, nipote di Nettuno?

ARTOTROGO Ricordo: alludi a quel tale dalle armi d'oro, di cui tu disperdesti le legioni con un soffio, come fa il vento con le foglie o con le canne dai tetti.

PIRGOPOLINICE Ma questo non è niente, per Polluce!

ARTOTROGO certo, questo non è niente - per Ercole! - a paragone di quel che potrei dire delle altre prodezze ... (tra sé) che non hai mai fatto. (Piano, al pubblico) se qualcuno dovesse trovare un uomo più impostore e borioso di costui, mi tenga per sé: sarò il suo schiavo. Non c'è che una cosa: da lui si mangiano certi pasticci di olive che ci si impazzisce dietro.

PIRGOPOLINICE Dove sei?

ARTOTROGO Eccomi. Quell'elefante per esempio, là in India. Per Polluce! Come hai fatto a spezzargli il braccio con un pugno?

PIRGOPOLINICE Come un braccio?

ARTOTROGO Volevo dire una coscia!

PIRGOPOLINICE Eppure fu un colpetto da niente.

ARTOTROGO Per Polluce! se ce l'avessi messa tutta, col braccio gli avresti sfondato la pelle a quell'elefante, e attraverso le budella gli sarebbe uscito dalla bocca.

PIRGOPOLINICE Non ho voglia di parlare di queste cose, adesso.

ARTOTROGO Per Ercole! non val la pena che tu mi racconti le tue prodezze: le so a memoria. (Tra sé) il ventre che mi crea tutti questi fastidi: devo allungar le orecchie, se non voglio che mi si allunghino i denti, devo passar per buone tutte le fandonie che mi racconta.

(vv. 1-35)

[Tito Maccio Plauto, Il soldato fanfarone,  BUR, 1997, pag. 97-99]

Il banchiere anarchico

Che cosa vuole l'anarchico? La libertà - la libertà per sé e per gli altri, per l'umanità intera. Vuole essere libero dall'influenza o dalla pressione delle finzioni sociali; vuole essere libero così come quando nacque e venne al mondo, che è come in verità dovrebbe essere; e vuole quella libertà per sè e per tutti gli altri. Ma nemmeno in Natura sono tutti uguali; alcuni nascono alti, altri bassi; alcuni forti, altri deboli; alcuni intelligenti, altri meno... Ma tutti possono essere uguali da lì in avanti; solo le finzioni sociali lo impediscono. Erano quelle finzioni sociali che dovevano essere distrutte.

(Il banchiere anarchico)

[Fernando Pessoa, Il banchiere anarchico e altri racconti, Passigli, 2005, pag. 23]

La guerra del basilico

Venne a prenderlo Louis-Baptiste. Oscar avvertì che sarebbe stato via per l'intera giornata.
- Che tecnica hai, avvertì prima?
Correvano sulla Moyenne Corniche, sopra Montecarlo.
Louis-Baptiste rise: - Preferisco l'improvvisazione. No, non ho telefonato. Mi sono solo accertato che ci fossero -. Erano diretti a Cannes, ai magazzini del Beach Club.
- Chi è il tipo?
- Marion, il vecchio bagnino. Era già lì negli anni '50. E in quell'estate del '54 sulla spiaggia che ci interessa. Fu Hitch a fargli mettere a posto la spiaggia per le riprese -. L'auto di Louis-Baptiste correva sotto i platani, sfiorando buganvillee e oleandri, attraversando ombre d'ulivo che disegnavano sulla strada chiazze argentate.
- E' un idea la tua. Sei stato bravo. Si può vendere una sedia che vale diecimila lire a una decina di milioni. Se in quella sedia ci si è seduto qualcuno che è un mito. Ma ci vuole cultura...
- Basta ricordarsi, è questione di memoria, - disse Oscar, - come in tutto. In questo caso ricordarsi di un film: Caccia al ladro, e, - rise - visto che non si può andare all'Hotel de Paris a farsi vendere una poltrona, o un sofà...

[Nico Orengo, La guerra del basilicoEinaudi, 1994, pag. 138]

Il giocatore

Nulla ci può essere di più assurdo, oggigiorno, della morale! Oh, gli uomini soddisfatti di se stessi, con quale orgoglioso compiacimento sono pronti, quei chiaccheroni, a pronunziare la loro sentenza! Se sapessero fino a che punto io stesso capisco tutto quanto c'è di ripugnante nella mia attuale situazione, non muoverebbero certo la lingua per darmi insegnamenti. E poi, che cosa possono dirmi di nuovo, che io già non sappia? Ma si tratta forse di questo? Il fatto si è che basta un giro di ruota per cambiare tutto, e quegli stessi moralisti verrebbero per primi (ne sono convinto) a rallegrarsi con me. E allora non mi volterebbero le spalle come fanno adesso. Ma me ne infischio di tutti loro!

[Fëdor Dostoevskij, Il giocatore, Milano, Bompiani, 1985, pag. 143]

Marcovaldo

Il vento, venendo in città da lontano, le porta doni inconsueti, di cui si accorgono solo poche anime sensibili,  come i raffreddati del fieno, che starnutano per pollini di fiori d’altre terre.
Un giorno sulla striscia d’aiola d’un corso cittadino, capitò chissà donde una ventata di spore, e ci germinarono dei funghi.  Nessuno se ne accorse tranne il manovale Marcovaldo che proprio lì prendeva ogni mattina il tram.
Aveva questo Marcovaldo un occhio poco adatto alla vita di città: cartelli, semafori, vetrine, insegne luminose, manifesti, per studiati che fossero a colpire l’attenzione, mai fermavano il suo sguardo che pareva correre sulle sabbie del deserto. Invece, una foglia che ingiallisse su un ramo, una piuma che si impigliasse ad una tegola, non gli sfuggivano mai: non c’era tafano sul dorso di un cavallo, pertugio di tarlo in una tavola, buccia di fico spiaccicata sul marciapiede che Marcovaldo non notasse, e non facesse oggetto di ragionamento, scoprendo i mutamenti della stagione, i desideri del suo animo, e le miserie della sua esistenza.

(Primavera. Funghi in città)

[Italo Calvino, Marcovaldo, ovvero le stagioni in città, Milano, Mondadori, 1993, pag. 3]